INTERVISTA

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Ciao a tutti , ecco l’intervista fatta a radio venezia sulla mia attività di personal chef . Ringrazio tutto lo staff e soprattutto matteo che ha saputo  realizzare le domande giuste per una chiacchierata divertente e mai noiosa.
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Il pane fatto in casa

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Cari  Amici,

l’estate è ormai arrivata, la prova costume è alle porte, fa piuttosto caldo e comunque, ripeto, la prova costume è alle porte. E fa caldo.

Date queste premesse, di cosa mai potremmo parlare? Di pane fatto in casa. Una buona pagnotta non si nega a nessuno e con questa ricetta, fidatevi di me, accenderete il forno solo per una volta e non dovrete comprare pane per una buona settimana.

Proprio così: se vi munite di una buona farina di tipo 2, otterrete un prodotto gustoso, salutare e che non vi farà ingrassare troppo.

Passiamo quindi alla ricetta per un ottimo pane alle noci che, come si sa, fanno anche bene alla pelle.
Procuratevi 500 gr di farina macinata a pietra tipo 2 (noi ad esempio usiamo questa), 5 gr di malto diastasico, 1 cucchiaio raso di sale, 350 ml di acqua, 15 gr di lievito madre disidratato, 40 gr semi misti (magari di girasole, lino, sesamo e zucca), 80 gr di noci sgusciate.

Sciogliete ora il lievito ed il malto nell’acqua tiepida e versateli in una ciotola con la farina. Mescolate con un cucchiaio fino ad amalgamare il tutto ed in fine aggiungete il sale. Riponete la ciotola in frigorifero per almeno 3 ore.
Trascorso il tempo di riposo, su una spianatoia infarinata, lavorate l’impasto senza sgonfiarlo troppo. Con le mani infarinate fate le pieghe: schiacciate l’impasto fino a formare un rettangolo, inserite le noci in modo casuale e piegate il lato destro del rettangolo verso il centro per poi sovrapporgli il lato sinistro.
Ruotate l’impasto di 90° e ripetete le pieghe. Capovolgete l’impasto in modo che le pieghe stiano sotto e adagiate il pane in un canovaccio ben infarinato, quindi fate riposare per altre 2 ore. Lavorate di nuovo l’impasto, creando una pagnotta, posizionatela all’interno di una pentola cuoci pane in ceramica e copritela per almeno 45 minuti.

Accendete il forno e portatelo a 200° e poco prima di infornare fate il taglio sul pane e, dopo averlo spennellato con acqua fredda, cospargete la sommità di tutti i semi misti. Infornate il pane nel cuoci pane per circa 40 minuti, togliete il coperchio e cucinate per altri 5 minuti in modo da creare una bella doratura estiva.
Sfornate e fate raffreddare bene su una griglia per almeno due ore.

Ed ora, amici, pensate alla vostra colazione con pane, marmellata e caffè, magari seduti in un bel giardino assolato leggendo il giornale.

C’est tout pour aujourd’hui.
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Agnello? Sì, grazie!

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Cari Amici,
dopo le avventure del Giappone siamo stati risucchiati appieno nel 2017.
Come vi sta andando questo anno dispari? A noi abbastanza bene, ed ora stiamo lavorando per arrivare carichi e pronti a Pasqua.
Non manca mica tanto eh!

Sappiamo che è un grande classico ma, se fatto bene, l’agnello fa sempre la sua figura in questo periodo pasquale.
Ecco quindi la mia ricetta di quest’anno. Si torna al classico in pieno stile Amaro: pochi ingredienti per una resa eccellente.

Correte quindi dal vostro macellaio di fiducia e fatevi dare delle costolette di agnello, magari un chilo. Poi preparate, per 4 persone: q.b. pepe
q.b. olio di oliva extravergine
q.b. erbe aromatiche incluse 8 foglie di menta
q.b. sale grosso
2 spicchi aglio
1 scalogno
qualche pomodorino
5 patate novelle di medie dimensioni
5 carote novelle
Bene, iniziamo.
1) prepara un leggero soffritto con parte dello scalogno tritato, olio e.v.o. e 2 cucchiai di acqua. Aggiungi il resto dello scalogno a pezzi grossi, le carote (noi le abbiamo lasciate intere, dividendole solo a metà in senso longitudinale) e le patate a cubetti. Cuoci così a coperchio semichiuso per 25 minuti, in modo da lasciare che le patate creino una crosticina. A cottura ultimata aggiungi del timo in polvere e riponi la pentola in modo da non far raffreddare troppo le verdure.
2) in un’altra padella (noi usiamo questa) sbuccia uno spicchio d’aglio, soffriggilo e rosola le costolette assieme ad abbondanti erbe aromatiche: fai cuocere il tutto per 20 minuti, anche con il coperchio chiuso.

Una volta cotto il tutto, prendi un bel piatto bianco grande, metti al centro la costoletta, versa le verdure e il sughetto di cottura della carne.

Et voilà, l’agnello è servito!
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Arigatou gozaimashita, Japan

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And we’re back home, after 10 wonderful days in Japan.

This post is dedicated to the Japanese, who have been a constant surprise. We knew that Japanese are by definition well-educated, nice and well organized. But reality is even better: we felt welcomed in the best way possible, we felt respected and treated with kindness. And we felt safe every time, everywhere. That kind of safety that we don’t find at home. No one tries to deceive you, no one pushes you against the train doors to get in first, everyone waits patiently in line.

There’s a particular experience we want to share with you. Once we came back to Tokyo after 4 awesome days in Kyoto, we took a train to Akabane, searching for a Japanese pub described in a blog kept by an italian girl. The place didn’t accept credit cards, and we where short on cash. One place, though, had drawn our attention on the way to the pub, and we decide to try it. Its name was RaclettexRaclette,  and we fell immediately in love. First of all the place that night was run exclusively by women, and the plates looked soooooo good. There was half a wheel of Raclette cheese on the counter, everyone was eating with cutlery, there was a great selection of wines and there was an open kitchen. Although the kitchen was very small, the girls were perfectly synchronized, and the best thing is they seemed to have the best time ever. It was lovely to see them work and joke and laugh, and the plates coming out of the 4 sq. metres kitchen were aboslutely amazing.

For a moment we felt like being in Paris…but It was even better, because we were in an amazing city with amazing and kind and nice people.

RaclettexRaclette is just one of the many great experiences we had in Japan, and we feel so blessed to have met such an amazing culture.

So we want to say thanks to all of those who helped with this trip. Thank you girls of the Raclette, we had the best time ever; thank you Massimiliano&Rieko for all the precious advices; thanks to Orsola who shared our enthusiasm for this island; thank you Rico of the Yumiya – Komachi hotel for the amazing experience of living in an old Japanese house and for introducing me in Kyoto as Peppe-San; thanks to the Nepalese guy of the Mystays Hotel in Tokyo to whom we were the first italians he had ever met, and thank you everyone who made us feel like family.
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Del ramen e di altre avventure

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Eccoci di nuovo sullo Shinkansen verso Tokyo. L’avventura di Kyoto si è conclusa salutando mestamente l’antica casa giapponese che ci ha ospitati.

Le case tradizionali sono ottime in estate: il sistema di pannelli scorrevoli crea una piacevole brezza attraverso le stanze. In inverno, a meno che non siano riscaldate, queste case tendono ad essere gelide. Ovviamente la nostra bellissima casa era anche super riscaldata.

Qui tutto sembra piccolo e stretto, tanto che non pensavamo che le valigie sarebbero passate attraverso il minuscolo ingresso. E invece, sebbene al millimetro, tutto è estremamente funzionale! Ad esempio la cucina: stretta e lunga, era accessoriata con tutto quanto necessario, e i faretti rivolti verso l’alto illuminavano la parete antica creando un ambiente suggestivo.

Ma passiamo all’argomento di questo brand new post: il ramen.

Questo piatto, diffuso in Giappone, ha origini cinesi consiste in un brodo saporito servito assieme ai noodles. Questi, simili ai nostri spaghetti, possono essere immersi nella zuppa o serviti a parte, magari fritti. Abbiamo trovato noodles larghi simili a tagliatelle a Tokyo, sottili tipo fili d’angelo a Kyoto.

I condimenti utilizzati variano da zona a zona. Noi abbiamo sempre assaggiato ramen condito con cipolla verde, funghi, bambù, fette di lonza e alghe marine. Il piatto è poi arricchito da salsa di soia, sakè (che in giapponese vuol dire semplicemente alcool, non per forza indicando il vino di riso), semi di sesamo e zenzero.

I menu comprendono anche ramen con uova sode, con manzo oppure con pesce cotto.

Appena ci si siede in qualunque locale, poi, viene servita acqua e the verde senza charge.

Come già accennato nel precedente post, infine, i noodles devono essere aspirati rumorosamente, un pò per raffreddarli e un pò per esprimere apprezzamento nei confronti del cuoco.

In ultima, sfatiamo il mito secondo cui il Giappone è un paese caro: a meno di sorprese da qui alla fine del viaggio, i prezzi sono più contenuti rispetto all’Italia. Nell’isola, ad esempio, l’IVA è all’8%!!! E la normalità prevede che la cena (ad esempio un piatto composto da abbondante ramen, una ciotola di riso e un piatto di carne o pesce) costi circa 2.000 JPY in due, cioè poco meno di 20 euro. In ristoranti eleganti, ovviamente, il prezzo sale, con cifre adeguate al resto del mondo. New York, comunque, è almeno tre volte più cara rispetto a Tokyo o Kyoto! Capitolo taxi: per 10 minuti di strada si spendono circa 700 JPY (poco più di 5 euro).

Adesso recliniamo il sedile di 180 gradi, chiudiamo gli occhi e…ci rivediamo a Tokyo!
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Un bentō sullo Shinkansen

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Dopo qualche giorno a Tokyo, il viaggio prosegue verso Kyoto, la città dei mille templi e capitale del Giappone per più di un millennio. Per spostarci utilizziamo il famoso treno proiettile che viaggia sulla linea Shinkansen: per coprire 457 km ci impiegherà poco più di due ore e mezza.

Abbiamo i posti vicino al finestrino nella parte destra della carrozza (di solito i posti D ed E). Lasciamo i grattacieli di Tokyo e troviamo le case unifamiliari delle prefetture limitrofe. A farci compagnia fuori dal finestrino il monte Fuji, esattamente come ce lo siamo sempre immaginato. Arriviamo nella zona della Suruga bay, mare a sinistra e monte Fuji a destra.

Ci accorgiamo che nei sedili accanto a noi, anche se sono solo le 11.30, quasi tutti mangiano un bentō, e ci sentiamo in dovere di farlo anche noi!

Arriviamo quindi al dunque di questo post: cos’è il bentō?

Si tratta di una scatola che può essere di vari materiali, generalmente plastica o legno laccato, suddivisa in diversi scomparti e usata principalmente per pranzare fuori. I piatti sono quindi serviti in piccole porzioni all’interno degli scomparti e nella scatola vengono riposte anche le bacchette, hashi.

Notiamo una certa cura nella confezione del bentō, che si presenta con un bel design, sia  per gli assortimenti che per le combinazioni dei colori. Alcuni, scopriamo, hanno anche lo scompartimento termico per la conservazione del riso o altri piatti caldi.

Decidiamo quindi di comprare un bentō, e scegliamo la versione Makunōchi con nove scomparti. Ci sono tante tipologie di bentō: il Makunōchi, appunto; Noriben; Sake; Shidashi; Hinomaru; Hokaben; Hayaben; Chūka e così via. Il Makunōchi è il tipo classico contenente di solito pesce, carne, sottaceti, uova, verdure e umeboshi.  Nella confezione viene riportato che tutte le materie prime sono tipiche delle zone di Tokyo e Osaka.

Leggiamo velocemente su wikipedia che l’etimo del termine bentō deriva da un dialetto del sud della Cina, biàndāng, che significa “conveniente”. Non sappiamo cosa intendessero in Cina per conveniente…sicuramente dal punto di vista economico per noi lo è stato: solo 1340 JPY, cioè circa 11 euro in due!

Alla prossima amici!
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Non solo bacchette

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Cari Amici,

se per qualche motivo foste interessati agli usi e costumi culinari del Giappone, forse la nuova rubrica fa al caso vostro.

Siamo nell’isola nipponica da qualche giorno, la prima tappa del viaggio è Tokyo. Stiamo cercando di farci un’idea della cucina giapponese, sfatando gli stereotipi importati in occidente. La capitale è una fucina di creatività e incontri tra diverse culture, e anche qui, come in tutte le grandi metropoli, la globalizzazione sembrerebbe aver attecchito.

Nonostante ciò, nelle zone che per ora abbiamo frequentato (Shinjuku, Shibuya, Chiyoda e Minato), raramente abbiamo incontrato occidentali. In quasi tutti i locali, botteghe di strada e piccoli ristoranti, gli unici con tratti non orientali eravamo noi.

La prima impressione è stata quella di dover consumare il pasto con estrema velocità, per liberare subito il tavolo per altri avventori. Sembra quasi che il cibo sia esclusivamente un modo per sfamarsi, lontano dalla logica mediterranea di pasto come luogo metaforico per incontrare altre persone. Hai fame? Entri, mangi e te ne vai (con grandi inchini).

Questa sembrerebbe la regola.

Tuttavia, in qualche occasione siamo stati smentiti. C’è un locale, a Nishishinjuku, in cui sembra di essere a Parigi. Innanzitutto, come al solito, siamo gli unici occidentali. Ci guardiamo attorno e vediamo poi che tutti pasteggiano con coltello e forchetta. Non solo bacchette, quindi! E questa modalità occidentale si riflette anche sui tempi, più rilassati e più social. Pare che qui nessuno abbia fretta e si goda la compagnia delle altre persone.

Un’altra peculiarità riguarda il ramen. Dopo il primo (e giustificato) imbarazzo, abbiamo iniziato anche noi a mangiare i noodle immersi nel “brodo” aspirando rumorosamente… in teoria ciò dovrebbe servire a raffreddare la pasta per non ustionarsi la bocca. Da questo punto di vista il metodo funziona!

Le bacchette, hashi, non devono poi essere lasciate nella ciotola in verticale: è di cattivo auspicio in quanto la posizione ricorderebbe il rito funebre.

Infine: il sushi occupa una importante ma non esclusiva parte della cucina giapponese, almeno a giudicare dall’offerta dei ristoranti di Tokyo. Nei vicoli della città ci sono minuscoli localini con una grande offerta di piatti elaborati e anche a base di carne; ristoranti con solo ramen nel menu; altri ancora in cui si sceglie la carne (un’ampia sezione del menu è dedicata alle frattaglie, lingua, cuore e fegato) e ce la si cucina da soli nel proprio tavolo, dotato di una griglia ad uso personale.

Il minimo comun denominatore di tutte queste esperienze è in ogni caso l’estrema gentilezza delle persone che per ora abbiamo incontrato. I giapponesi sono molto attenti a non dare fastidio in nessun modo,  ringraziano e sorridono sempre. Un altro aspetto di cui ci siamo stupiti, infine, è il silenzio della città, nonostante Tokyo sia una delle metropoli più grandi e popolate del mondo.

Ah, e comunque: a Tokyo si può comprare di tutto, a qualsiasi ora e in ogni punto della città attraverso i distributori automatici!

Alla prossima!
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